I FANTASTICI 4. Tra cielo e terra.

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Quando si pensa ai comic book, cioè agli albi colorati che hanno reso popolare il fumetto negli Stati Uniti dopo il grande successo sui quotidiani, si pensa d’istinto ai supereroi. Un equivoco italiano, questo. E comprensibile.

Perché sono stati sopratutto i supereroi a essere pubblicati da noi in quel particolare formato. Eppure fumetti horror, polizieschi, romantici, fantascientifici, western, umoristici, di guerra, tarzaniani, educativi, televisivi: ogni genere è stato esplorato dal comic book e di ogni genere tutte le possibili varianti.

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Editori e scrittori andavano dove portava il mercato. “Se funzionano i cowboy cominciavano a realizzare western. Se vendevano i poliziotti e ladri, quello ci dovevamo inventare ha dichiarato Stan Lee: “ Se invece il trend indicava le storie d’amore, la Timely si impegnava in quel genere. Noi semplicemente davamo al pubblico quel che il pubblico voleva, o quello che noi pensavamo volesse”.

Timely è stato, insieme ad Atlas, uno dei nomi della Marvel prima di diventare tale. Che non a caso cambiò nome in Marvel subito dopo i Fantastici Quattro. Proprio quando Stan Lecccominciò a essere citato e si trasformò per sempre nel creatore dei moderni supereroi. Prima, aveva scritto le storie di Captain America, della Torcia Umana e di Sub-Mariner, aveva inventato personaggi umoristici come Ziggy Pig e Silly Seal, ed era diventato editor della Marvel nel 1942.

Ma alla fine degli anni Quaranta, a guerra ormai conclusa, scoppiò la crisi dei supereroi: The Human Torch diventò Love Tales nel 1949 e Sub Mariner si trasformò in Best Love. Si puntò anche sul western, il poliziesco e l’horror, la guerra e la fantascienza. Agli inizi degli anni Sessanta, però, sembrava davvero che non ci fosse più niente da fare.

La crisi era nera. Alla Marvel qualcuno aveva portato via pure la mobilia. Ultima speranza: il successo della DC con i comic book dedicati alla Justice League of America, un gruppo supereroistico formato da Batman, Superman e Wonder Woman insieme a Flash e Green Lantern appena rivisti e corretti.

Si fa presto a copiare l’idea. Mica si può. Il genere si può riprendere, quello non è sottoposto a copyright, ma la concezione dei personaggi deve essere diversa. Deve poter essere difesa anche contro i più bravi avvocati di New York. “Nella creazione dei Fantastici Quattro il colpo di genio di Lee e Kirby è stato quello di comporre le funzioni del super eroe attribuendole separatamente a quattro personaggi diversi”, ha scritto Antonio Caronia.

I Fantastici Quattro sono persone normali. Che, appunto, vivono a New York. Che a New York pagano l’affitto. Americani come tanti che nella prima puntata decidono di andare sulla Luna (poi si dirà, invece, si trattava di Marte) per arrivare prima dei Russi. “Ma non ne sappiamo ancora abbastanza dei raggi cosmici! Potrebbero ucciderci tutti!”, avverte Susan. E invece i raggi cosmici non uccidono.

Trasformano tre di loro in supereroi che possono entrare e uscire dai loro super poteri. Il dottor Reed Richards, che ha costruito e guidato il raggio spaziale, è capace di allungarsi a dismisura. Lui stesso si è ribattezzato Mr. Fantastic. Susan, detta Sue, diventa la Ragazza Invisibile. Johnny, suo fratello gemello, si trasforma nella Torcia Umana, più leggero dell’aria. Rovente. Inestinguibile. Il supereroe che non ha alcuna libertà di gestione dei suoi poteri è Ben Grimm, ingabbiato in un corpo mostruoso che sembra fatto di pezzi di roccia o ricoperto di scaglie come tanti scudi invincibili. La sua condanna è la diversità eterna: si vede che soffre, e spesso lo confessa apertamente.

Nella loro prima storia Stan Lee non concede troppo spazio al trauma del cambiamento: era già tutto scritto e dopo il flashback esplicativo bisogna subito ritornare all’azione. “Siamo cambiati!, Tutti noi! Non siamo più semplici esseri umani!”, pensano travolti dallo stesso destino.

E in poche parole, in un paio di vignette, decidono che i loro poteri saranno usati per il bene dell’umanità. Giusto proponimento, ottimo progetto. Se non fosse che i supereroi non riescono a essere efficaci come i vaccini (che pure inducono a mutare per poterli battere). Loro, i cattivissimi, diabolici nemici sembrano chiamarli a gran voce.

È l’invenzione che crea la necessità, ha detto qualcuno. Prima dei Fantastici Quattro non esistevano né L’Uomo Talpa, né il Dottor Destino, né Diablo. Nascono per dare un senso all’esistenza dei protagonisti e incarnano i pericoli di cui ci parlano i mezzi d’informazione. E quelli di cui non ci parlano. Sono la mitizzazione delle ansie del mondo. Non a caso i cattivi minacciano di alterare l’essenza stessa della realtà, le sicurezze dell’uomo civile e occidentale.

I pericoli cono le guerre, le malattie, le armi, la scienza malvagia, il terrorismo, le follie umane che si nascondono sottoterra, sopra le nuvole, oltre la ragione. I lettori, come i cittadini di New York, a quel punto non possono che essere testimoni appassionati della necessità dell’esistenza dei nostri eroi. Sempre che quattro bastino.

Le avventure dei Fantastici Quattro continuano a svolgersi, come la prima, tra il cielo e la terra. In terra, sempre a New York, dove i cittadini ritratti nei fumetti li vedono sfrecciare, allungarsi, lottare, scomparire tra i vicoli e i palazzi della Grande Mela.

E in cielo, o in altrove immaginari: luoghi dove il Male può ancora sperare, stupidamente, di avere la meglio; o, più razionalmente, di impegnare sempre, fino allo stremo. Fino all’ultima vignetta, dalla quale sarà ancora possibile riportare tutto alla nostra normalità. Poi, niente paura: ci sarà una nuova paura, un nuovo disordine. Tra corpo e anima. Tra cielo e terra.

Christian Imbriani
La scheda

Illustrazione Christian Imbriani

 

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