Wassily Kandinsky: astrazione emozionale del colore

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di Ester Campese

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Wassily Kandinsky notissimo pittore franco-russo, nacque a Mosca nel 1866. Fu lui che più di ognuno fece studi approfonditi sul colore, realizzando una sua propria filosofia che trasferì nei suoi dipinti. E’ proprio a Kandinsky che va dunque il merito di aver contribuito a fornire la “mappa musicale” del colore.

Partiamo dagli esordi in cui un momento fondante per il suo sviluppo artistico, fu l’iscrizione all’Accademia di belle Arti di Monaco, concomitante con il suo trasferimento in Germania. In quella circostanza già nei suoi primi dipinti Kandinsky dimostrò la tendenza alla sperimentazione, alla ricerca e all’innovazione, attraverso tratti e simbolismi che includeva nei suoi paesaggi.

Ciò che più di tutto si vide subito chiaramente, ed in modo molto evidente, fu l’uso del colore che faceva. Nei suoi lavori trasparivano le emozioni e quanto lo stesso artista sentiva e provava, con la capacità che aveva nel saperlo imprimere efficacemente sulle tele, proprio attraverso la forza del colore. In queste prime opere fu anche evidente la sua radice e provenienza nordica che lo assimilava alla corrente espressionista. Ogni colore infatti, in tale disciplina, è valenza e corrispondenza emotiva nonchè suggestione di un sentimento.
Attratto dall’aspetto spirituale, che sfogava nell’arte, Kandinsky fondò nel 1912, un gruppo, con Franz Marc ed altri amici artisti, realizzando così il primo manifesto dell’astrattismo.

L’abbandono definitivo della composizione figurativa, coincise con l’inizio della sua relazione con Gabriele Münter, un’allieva d’accademia, per la quale lasciò la moglie. Kandinsky approdò così ai dipinti astratti, nei quali in assenza di forme, proiettò una diversa visione del mondo attraverso un linguaggio fatto di segni e colori. Lasciò che fosse l’arte a rivelare se stessa, anche nella sua astrazione, ma ugualmente potente. Di fronte alle sue opere ancor oggi vengono sollecitate, nell’animo dell’osservatore, strabilianti emozioni.

Questa nuova arte, secondo Kandinsky, doveva basarsi sul linguaggio del colore che lui aveva studiato profondamente tanto che fornì precise indicazioni sulle sue teorie circa le proprietà di ogni tono del colore. Attraverso le cromie indagò la risposta dell’anima e le sensazioni che esse suscitavano. Esplorò quelle “fisiche” basate su sensazioni momentanee, e quelle psichiche provenienti dalle vibrazioni spirituali più profonde.

E’ così che, secondo i suoi studi, il colore diventa come un suono che compone i toni di una melodia. La pittura doveva e deve poter trasferire sulla tela i palpiti, il turbamento, fino ai movimenti fisici delle emozioni provate dall’artista. In questa fase, nelle opere di Kandinsky la forma appena si intravede, restando oramai solo un vago segnale, quasi un fragile baluardo di nostalgica memoria, con tracce nei segmenti cromatici realizzati attraverso linee.

Il colore come suono, ecco quindi i suoi diversi toni in pittura: chiaro, scuro, caldo e freddo. Attraverso le svariate combinazioni si forgiano nuove “note”. Il riferimento per i colori caldi è il giallo con la sua forza centrifuga e dotato di una follia vitale, mente per i freddi è l’azzurro con la sua forza centripeta, il blu è associato al cielo profondo. Il rosso è caldo e più profondo del giallo, ma un colore “irrequieto”, l’arancione è il colore dell’energia, il verde è l’espressione della quiete, forse persino noioso. Il bianco è un “non suono” quindi la pausa tra le note, il nero invece è la pausa finale dell’esecuzione.

Un avanguardistico concetto, per allora, di Art’s fusion, musica e pittura che emozionalmente trovano una sinesi proprio nel colore.

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