Intervista esclusiva a LUCA GIRIBONE: «Il processo creativo scatta in me molto più di frequente quando mi trovo “in mezzo al mondo”»

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di Patrizia Faiello 

Con una narrazione fluida, moderna, attenta e riflessiva l’autore Luca Giribone ci porta a scoprire un intreccio giallo, gotico e sentimentale che appassiona e coinvolge il lettore, incollandolo alla lettura fino alla fine.

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Lo scrittore descrive e scoperchia, con delicatezza e abilità, la miseria umana della follia. Luca Giribone nasce a Torino nel 1975. Sin da giovanissimo collabora per alcuni anni con La Stampa di Savona, entrando a far parte della redazione dell’inserto giovanile “Il Menabò”.

Gli studi e gli interessi per il mondo della comunicazione di massa lo portano a Milano, dove lavora in agenzia di pubblicità come copywriter e brand manager, senza mai abbandonare la passione per la lettura e la scrittura. Nel 2016 ha pubblicato il suo primo romanzo, New York 1941. Forse (Europa Edizioni). Lo incontriamo tra le pagine di DiTutto. Buona lettura!

“Selene. Storia di follia, d’amore e di spettri” è il tuo ultimo romanzo pubblicato, ce ne vuoi parlare?

Questo libro Patrizia è un viaggio che porta i lettori attraverso la storia e la fantasia. L’incredibile vicenda dell’ex manicomio di Quarto dei Mille a Genova fa da sfondo all’amore tormentato fra due giovani, nella Liguria degli anni Settanta, e a una caccia ai fantasmi che avrà un esito del tutto inaspettato. Si mescolano romance, gotico, thriller e romanzo storico, in un intreccio appassionante e unico nel suo genere.

Cosa ti ha spinto a intraprendere la carriera di scrittore?

Direi una sorta di ricetta magica. L’amore viscerale per la lettura, unito alla voglia di raccontare, alla sensazione unica nel consegnare qualcosa di se stessi e della propria creatività al mondo e, infine, il fatto di non riuscire più a farne a meno, una volta iniziato questo percorso.

Hai delle abitudini particolari durante la scrittura?

Trovo difficoltà a scrivere fra quattro mura. O meglio, la stesura vera e propria la porto avanti quasi sempre a casa, alla scrivania, ma il processo creativo scatta in me molto più di frequente quando mi trovo “in mezzo al mondo”. Prendo appunti registrando mentre viaggio, scarabocchiando taccuini in un bar, in una sala d’aspetto, passeggiando in un parco o in città, fra un impegno e l’altro. Osservare la gente, sentire la vita scorrere, sono l’innesco più straordinario per le idee, per quanto mi riguarda.

Che messaggio hai voluto lanciare con il libro?

Questo romanzo è un inno alla dignità e alla profondità dell’amore che vince la morte. “Selene” si concentra sul principio secondo il quale l’apparenza va superata: la superficie racconta pochissimo, occorre tuffarsi in profondità, confrontare tutti i punti di vista, ascoltare, aprirsi e non avere paura della verità, qualunque forma assuma in prima battuta. Spesso i peggiori incubi si rivelano una cortina dietro la quale si celano la meraviglia, la poesia, il rispetto verso il prossimo e, non meno importante, verso se stessi.

Quando scrivi un nuovo libro hai già tutta la storia in mente o la elabori strada facendo?

Sono molto rigoroso nella stesura del canovaccio e successivamente della struttura specifica delle singole parti del romanzo, se non dei singoli capitoli. Non critico chi scrive di getto, mi è capitato di farlo, ma l’ampio respiro di un romanzo richiede a mio avviso grande chiarezza nella “visione dall’alto”, altrimenti ci si perde, si diventa poco equilibrati negli elementi stilistici e contenutistici e si rischiano inciampi e incongruenze. Certo, strada facendo si può cambiare idea, ma quando mi accade, correggo anche i miei taccuini di appunti, mappe, schemi.

Secondo te qual è il libro più bello che hai scritto?

Quello che non ho ancora scritto. E sarà sempre così, spero.

 

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