Intervista al criminologo Andrea Giostra: «La nostra mente si compone di tante parti molte delle quali sono assolutamente sconosciute e indescrivibili, ma che possiamo conoscere solo dalle azioni commesse»

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di Patrizia Faiello

Sempre più frequenti, in questi ultimi anni, sono le storie di abusi e di violenze di genere, che i mezzi di informazione riportano nelle pagine di cronaca. Davvero impressionanti non solo per la gravità inaudita dei crimini commessi, ma soprattutto perché gli stessi dimostrano come alcuni individui siano assolutamente privi di empatia, di identificazione con il prossimo e di intelligenza emotiva.

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Per il nuovo numero di DiTutto ho avuto il piacere di intervistare l’esperto psicologo e criminologo Andrea Giostra, che da oltre 25 anni lavora per enti pubblici e privati nel settore della formazione professionale e post-lauream, dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali alla persona. Andrea ha una formazione in psicologia clinica con specializzazione in psicoanalisi freudiana e criminologia normocentrica.

Giostra si occupa anche di fundraising, progettazione, marketing e comunicazione e realizza opere di installazione virtuale e di cultura ad impatto aumentato in siti archeologici e museali. Scrittore appassionato di arte, letteratura e cultura Andrea racconta storie e novelle di vita quotidiana della sua amata Sicilia in diverse raccolte grazie alle quali ha ricevuto decine di riconoscimenti e premi letterari.

Andrea da quanto tempo ti occupi dello studio della criminologia, da dove nasce questo tuo interesse, e quali possono essere le dinamiche che governano una mente umana a tal punto da portarla a commettere il più grave dei reati: l’omicidio?

Sono sempre stato, sin da bambino, un appassionato dei meccanismi della nostra mente, del nostro cervello, del nostro inconscio, e quando liceale ho iniziato a leggere Luigi Pirandello, all’età di sedici anni, mi si è aperta la mente su un mondo per me allora sconosciuto. Dopo aver letto e studiato tutto Pirandello, sono passato a Fyodor Dostoevskij, un genio nella capacità di scrutare e descrivere gli abissi dell’animo umano e delle sue componenti più oscure e criminali. Infine all’università ho conosciuto e studiato in maniera molto approfondita Sigmund Freud del quale ho letto e studiato tutta l’Opera Omnia, e sul quale, insieme al mio professore universitario di allora del quale fui assistente, Lucio Sarno, contribuii a scrivere diversi saggi, seminari e testi universitari. Il cerchio a quel punto si è chiuso. La nostra mente si compone di tante parti molte delle quali sono assolutamente sconosciute e indescrivibili, ma che possiamo conoscere solo dalle azioni commesse. Tra questi i delitti alla persona e gli omicidi dei quali mi chiedi le cause, che spesso non hanno una ragione, un movente, una logica razionale. È questo l’elemento che affascina l’uomo, l’ignoto e tutto quello che ci fa agire il delitto, l’uccidere un nostro simile per i motivi più vari e imprevedibili. Il mio interesse nasce da questo: dalla curiosità di capire come funziona il nostro cervello, la nostra mente, quali influenze hanno le nostre pulsioni, il nostro inconscio, i traumi che abbiamo vissuto e le violenze che abbiamo subito che poi, spesso, si trasformano in agiti violenti. Insomma, qualcosa di pericoloso e affascinante al contempo. Dopo tantissimi anni che studio queste cose, quello che ho capito è che i delitti non si possono prevedere e che solo dopo che sono stati commessi si può cercare di dare una spiegazione, una spiegazione che però appartiene alla ragione, alla logica, e quasi mai ha a che fare con i meccanismi contraddittori, ancestrali e pulsionali intrapsichici che popolano la nostra mente e il nostro inconscio.

Sei spesso interpellato come consulente, che consigli daresti al nostro Paese per combattere la violenza?

Il consiglio principale da dare in questi casi è quello di basare il futuro dei giovani, da quando nascono fino all’età adulta, su una buona educazione e una buona cultura che deve coinvolgere e vedere protagonisti i genitori, la famiglia allargata, gli insegnanti, gli educatori che questi ragazzi incontreranno nella loro vita, ma anche i rappresentati delle istituzioni e delle forze dell’ordine ai quali è stato sottratto, mattone dopo mattone, sempre per la stessa politica demolitoria e nichilista ad oltranza, il loro potere autorevole e di rappresentanti dello Stato a garanzia della libertà comune e del rispetto delle leggi. Tutte queste cose vanno insegnate ai bambini fin dalla tenera età: il rispetto per il prossimo, per i genitori, per i nonni, per le istituzioni che garantiscono la nostra libertà e il nostro vivere civile, per gli insegnanti e i maestri di vita che incontreremo nel nostro cammino su questa terra. Se questo non avviene allora avremo dei giovani e poi degli adulti pericolosi. Facciamo un esempio: oggi, e le cronache ne parlano quasi quotidianamente, accade che se un insegnante, un professore, un educatore rimprovera il ragazzo, l’alunno o lo studente perché ha fatto qualcosa che non doveva fare, perché ha sbagliato qualcosa, perché ha studiato male, perché deve impegnarsi di più, questo ragazzo chiama i genitori che si precipitano a scuola e minacciano fisicamente l’insegnante che si è permesso di criticare il figlio, o addirittura, come è spesso accaduto, usano violenza fisica picchiando il docente che ha osato criticare il figlio. Oppure, se una mamma dà un sonoro schiaffo alla figlia dodicenne perché l’ha scoperta a postare nei suoi profili social foto mezza nuda e osé, per non dire pornografiche; poi la figlia chiama i servizi sociali che fanno la segnalazione alla procura minorile e, per farla breve, il giudice rinvia a giudizio la mamma e poi la condanna perché ha osato “picchiare” la figlia con uno schiaffo a un anno e sette mesi di reclusione, il messaggio è chiaro: colpirne uno per educarne cento, di genitori che cercano di educare i figli nel modo tradizionale! Allora gli insegnanti, i professori, gli educatori e anche i genitori, devono e non possono che applicare esclusivamente il “modello educativo del buonismo ad ogni costo”. Lo stesso modello educativo che è alla base ed è la causa principale dei crimini adolescenziali di cui si parla quotidianamente nel nostro Paese. Un modo di educare i bambini e i giovani che non rappresenta altro che la fine della nostra civiltà e della nostra cultura. Questo per dire che i fatti che vediamo tutti i giorni dalle cronache dei mass media italiani, sono frutto di questa sub-cultura nella quale i ragazzi della Generazione Z e della Generazione Alpha, ovvero i figli dei Millennial, di genitori nati negli anni Ottanta e Novanta, possono tutto, hanno solo diritti, e non devono essere puniti o rimproverati per niente e da nessuno, altrimenti si rischia la reazione violenta dei genitori, che non hanno nessun interesse a che i figli crescano nel rispetto delle regole e delle leggi che garantiscono la convivenza civile all’interno della propria comunità, o addirittura le “pene” inflitte da certi giudici. Mi rendo però perfettamente conto che i miei consigli e tutto quello che faccio in questo settore servono davvero a poco. Dopo l’intervista che ho fatto al TG di Tele One, la TV privata più seguita in Sicilia con oltre 2 milioni di telespettatori al giorno, sono stato contattato da diversi genitori, insegnanti, politici di piccoli paesi della mia provincia, che mi hanno chiesto di tenere un seminario, un convegno sui temi che ho toccato brevemente in questa intervista. Chiaramente mi sono reso disponibile, ma so bene che servirà a poco. A una insegnante che mi ha chiesto di tenere un seminario nella sua scuola, un noto liceo di Palermo, e che continuava a dirmi che non dobbiamo e non possiamo arrenderci a questo sfacelo educativo e culturale, ho semplicemente detto quello che penso: quello che farò e che faremo insieme, sarà come lanciare un granellino di sabbia in mezzo al Sahara per fermare una tempesta di sabbia che sta arrivano per sommergerci. Non sono ottimista, lo so bene, ma non lo sono perché vedo che chi ha il potere politico e culturale per cambiare rotta a questo processo divenuto inarrestabile e irreversibile, è lì sul Transatlantico che danza tranquillamente al ritmo dell’orchestrina del Titanic che affonda nelle acque dell’Atlantico!

Qual è il caso, tra quelli che hanno segnato le recenti pagine di cronaca, che ti ha più coinvolto e perché?

Il fatto di cronaca accaduto a Palermo il 7 luglio scorso è davvero impressionante non solo per la gravità inaudita del crimine commesso, ma soprattutto perché ha dimostrato come quei 7 adolescenti sono assolutamente privi di empatia, di identificazione con il prossimo e di intelligenza emotiva. Questo, al di là del crimine commesso, è il fatto che fa molta impressione. Questi ragazzi sono capaci di tutto e non sentono e non sentiranno mai (malgrado i loro avvocati li consiglieranno di fare delle dichiarazioni che verranno rese pubbliche per dire che si sono pentiti, che si scusano con i genitori della ragazza, e altre fesserie di questo tipo) nessun senso di colpa per quanto commesso, non avranno mai nessun rimorso, perché non posseggono le capacità mentali e educative per capire quello che hanno commesso a una ragazza della loro età. Sono ragazzi che sono stati deprivati, che non posseggono affatto, proprio per l’educazione che non hanno mai ricevuto sin dall’età infantile, degli elementi intrapsichici, o inconsci se volgiamo, che fanno la differenza tra l’essere umano e la bestia più feroce: l’empatia e l’intelligenza emotiva. Se non hai empatia e non possiedi intelligenza emotiva, allora non sei un essere umano, sei qualcos’altro.

Appassionato anche di Arte e di Cultura, tra l’altro, hai pubblicato diversi saggi “Le novelle brevi di sicilia, “Curtigghia di Sicilia e siciliani” tra gli altri. Cosa rappresenta per te la Sicilia e su cosa vorresti che il lettore focalizzasse l’attenzione?

La curiosità e l’interesse verso il sapere, l’arte e la conoscenza o ce li hai da quando sei nato oppure non ce li hai. È una componente ancestrale della nostra personalità, genetica direi, lo puoi vedere già in alcuni bambini rispetto ad altri, che appena nati si guadano intorno e cercano di fissare tutte le cose che li circondano per capire cosa sono, come funzionano e come gestirle. Ecco, questo aspetto della personalità di ogni essere umano o c’è o non c’è! Io l’ho sempre avuto sin da bambino e l’ho sempre coltivato quotidianamente con le mie esperienze, le letture, gli studi, i confronti con i miei familiari, con i miei amici d’infanzia e d’adolescenza, con i professori e gli educatori che ho incontrato nella mia vita. Insomma, con tutto e con tutti quelli che mi hanno insegnato qualcosa e dai quali trarre sapere ed esperienza, anche senza che ne fossero consapevoli. Mia nonna mi diceva sempre: u’ mistieri s’arruobba! (Il mestiere si ruba!), che significa imparare dagli altri guardandoli attentamente e rubando loro tutti i segreti del loro mestiere e della loro professione. Io questo l’ho fatto sempre, sia guardano gli altri che leggendo migliaia di libri di tutte le discipline e di tutti i temi di studio e del mio interesse per l’arte e la cultura.

Cosa rappresenta per me la Sicilia e la sicilianità?

È davvero difficile spiegarlo, ci vorrebbe un saggio, ma spero di poterla definirla in poche parole, semplici e difficili al contempo. Essere siciliani vuol dire essere sommersi dalla bellezza sin da prima che nasciamo. Viviamo e cresciamo in una terra di una bellezza incredibile della quale ci accorgiamo solo quando lasciamo la nostra isola per viaggiare, per studio o per lavoro. Ma al contempo è una terra abitata da un popolo che ha subito nei secoli almeno sedici diverse dominazioni ognuna delle quali ha lasciato tracce culturali, di costume, di lingua, di comportamenti, i cibi, ma anche di caratteri e di modi di essere e relazionarsi con gli altri spesso contradditori e incomprensibili. Tutto questo ci ha portato a essere un popolo meticcio per definizione antropologica e storica, multietnico e multiculturale da millenni che non permette una definizione unica della sicilianità o del siciliano. Ognuno di noi siciliani siano uno, nessuno e centomila persone diverse, come direbbe Luigi Pirandello. Forse la sicilianità è questa: l’indefinibilità dell’essere siciliano! Con le storie che racconto nei miei libri cerco di descrivere questi siciliani, controversi e imprevedibili, passionali e generosi, cinici e senza scrupoli. Come nelle Novelle brevi di Sicilia che hai citato, un libricino che si può leggere gratuitamente online da diversi portali, oltre ad acquistarlo da diverse case editrici nelle librerie e nei classici store online.

Progetti futuri?

Ho due libri di narrativa terminati da diverso tempo, una raccolta di racconti siciliani finito di scrivere nel mese di dicembre del 2018 e un romanzo terminato esattamente 4 anni dopo, nel dicembre del 2022. Spero di pubblicarli entro la fine di quest’anno o inizio 2024. E poi due interessanti saggi scritti a più mani con diversi colleghi, che hanno come destinatari lettori non addetti ai lavori. Uno che affronta da una prospettiva di prevenzione primaria, nuova rispetto alle varie ipotesi di come affrontare e contrastare il serio problema della violenza sulle donne e del femminicidio, e che mette questi atti criminali in stretta correlazione con il narcisismo patologico. Il titolo provvisorio è infatti “Femminicidio e Narcisismo Patologico: quale correlazione”. L’altro è un saggio sulla buona scrittura e sulla buona lettura, che trae spunto e ispirazione dal saggio di Marcel Proust “Sur le lecture” (Del piacere di leggere) del 1905, ma adattato ai nostri giorni e alla fascia di popolazione giovanile che va dai Millennial alla Generazione Z e alla Generazione Alpha. Questi sono alcuni dei progetti che riguardano la mia passione per la scrittura e la cultura in senso lato, ai quali tengo molto. Poi c’è il mio lavoro e i tantissimi progetti da portare avanti, che spaziano tra le tantissime cose che amo fare. Ma forse abbiamo scritto e parlato abbastanza e il lettore si annoierebbe di sicuro se iniziassi a parlare anche del mio lavoro.

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