Il giovane tenore lirico Stefano Gagliardi, allievo del grande maestro Luciano Pavarotti, si racconta a DiTutto: “Oggi mi accompagna la sua ombra paterna e affettuosa. L’orgoglio di un bambino che sognava di diventare un cantante e dell’uomo che oggi – piacevolmente – lo fa per mestiere”

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di Patrizia Faiello

DiTutto vi propone oggi l’intervista esclusiva a Stefano Gagliardi il giovane tenore lirico dalle grandi capacità interpretative e una profonda vena artistico-musicale, non a caso è statol’ultimo allievo del maestro Luciano Pavarotti prima della sua scomparsa che risale al 6 settembre 2007. Stefanofa del belcanto e del melodramma la sua cifra stilistica, già apprezzata in tutto il mondo, ma risulta in grado anche di interpretare in modo originale e personalissimo il pop, con una voce inconfondibile, limpida, che colpisce diretta al cuore. Le emozioni che le sue interpretazioni suscitano sono davvero uniche, e la sua freschezza interpretativa unita alla spontanea simpatia che suscita dovunque, riescono a conquistare tutti, raccogliendo sempre un consenso unanime e un meritato tributo di pubblico eterogeneo. Il giovane tenore si sta preparando alla realizzazione di diversi spettacoli a partire dal prossimo Luglio dove mescolerà bel canto, musica moderna e arie di melodramma..

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Come nasce la tua passione per la musica e nello specifico per la lirica?
Bisogna partire da lontano, quando ero piccolo, anzi piccolissimo: avevo circa tre anni e intonavo canzoni ‘importanti’ lasciando incredulo e stupefatto chi aveva modo di ascoltarmi. Probabilmente, le canzoni che mia madre durante la gravidanza ascoltava con assiduità (Celentano, Cocciante, Morandi, Albano, Massimo Ranieri e altri ) mi sono arrivate attraverso il pancione e hanno lasciato il segno. Di fatto, si è visto subito che la musica era nelle mie corde, che faceva parte del mio modo di essere, una predisposizione naturale. E il tempo ha poi confermato che sostanzialmente la musica era il mio mondo e nella musica sono riuscito a trovare me stesso e a realizzarmi. La musica lirica, in particolare, mi ha affascinato da subito: forse era un segno che facessi da piccolino il pastorello nella Tosca, per poi ritrovarmi a studiare canto sugli spartiti dei grandi autori del melodramma. Una formazione che, sicuramente, è stata importante per valorizzare quello che molti definiscono un talento naturale.

Seppur giovanissimo hai già collezionato numerosi successi. Ad oggi nel tuo percorso artistico qual è stata l’esperienza  che ti ha più emozionato?

Ho molte emozioni – raccolte in ogni parte del mondo – chiuse nel cuore, che hanno lasciato un ricordo indelebile, ma la più grande e straordinaria “prestazione” della mia carriera è un duetto improvvisato col grande maestro Luciano Pavarotti al Teatro Storchi di Modena. Il Maestro stava facendomi un provino col PanisAngelicus (un brano cui era particolarmente affezionato perché lo cantava duettando con il padre) e improvvisamente l’ho sentito duettare con me, a fianco a me che ero appena un ragazzino. Devo dire che quel ricordo è struggente, perché Pavarotti era oltre che un artista un uomo straordinario, ma il pensiero a quel giorno mi vede sereno e ‘professionale’ come se non avessi fatto altro nella vita. Cantai sicuro e senza esitazione, anche quando sentii la voce del Maestro affiancare la mia: nessun timore, io microscopico accanto a un Artista eccezionale, che però mi trattava come un qualsiasi comprimario del palcoscenico. Certamente un’esperienza unica, indimenticabile.

Ti abbiamo potuto ammirare sul grande schermo come protagonista del film di  Giuseppe Conti “Un uomo una voce” interpretando il ruolo del tenore Beniamino Gigli. Che emozioni hai provato quando per la prima volta ti sei rivisto al cinema?

Beniamino Gigli è stato uno dei miei tenori preferiti sin da bambino, poi ho avuto la fortuna di studiarlo e apprezzarlo durante gli studi in Conservatorio. Non avrei mai pensato che sarei stato chiamato a interpretarlo al cinema. È stato sorprendente assimilare il carattere schivo e riservato del grande tenore, negli anni della gioventù, prima del grande salto nel successo internazionale, soprattutto perché verosimilmente all’opposto del mio. Ho dovuto reprimere – e devo ringraziare il regista Giuseppe Conti che ha saputo guidarmi con maestria e apprezzabile capacità artistica, a nascondere la mia solarità – il mio essere abitualmente gioviale e ‘compagnone’ per vestire i panni del grande Beniamino. Rivedermi, poi, sul grande schermo è stata un’emozione inconsueta: mi sono estraniato dal ruolo e ho seguito il personaggio come appariva sullo schermo, quasi fosse un estraneo cui dovessi dare una valutazione, su cui esprimere un giudizio da spettatore. E da spettatore, confesso, mi sono piaciuto, soprattutto nel canto in presa diretta: tutti i brani sono stati registrati da un fonico eccezionale, Francesco Sardella, che ha saputo cogliere dal vivo le mie vibrazioni più intense. Devo dire, sperando di non apparire immodesto, che mentre cantavo Gigli mi sentivo nella sua pelle. È stata una sensazione straordinaria.

Sei stato uno dei pochi giovanissimi allievi scelti dal maestro Luciano Pavarotti. Che ricordo hai di lui e cosa ancora oggi ti accompagna?

Dopo il provino al TetaroStorchi, il grande Luciano mi scelse insieme con altri sette giovani, per la sua accademia di giovani talenti su oltre 500 aspiranti che provenivano da ogni parte del mondo. Allo Storchi c’erano, a selezionare i giovani che il Maestro avrebbe preso con sé, Mirella Freni e Raina Kabaivanska. Il Maestro rivelò subito la sua grande umanità: mi chiamava ‘campione’ e non mancava di ribadire che ‘la voce è un dono divino e come un bicchiere di cristallo è fragilissima: devi coltivarla e studiare sempre. In questo lavoro non si finisce mai di studiare, solo così la tua voce non ti abbandonerà mai’. Un insegnamento che non ho mai smesso di rispettare e praticare. Nel canto lo studio è fondamentale e non si finisce mai di provare e studiare. 

La sua umiltà si univa a un carisma davvero unico. Negli oltre 50 incontri di studio, nelle sue varie residenze, il Maestro non mancava mai di mostrare la sua affettuosa voglia di mettere a proprio agio i suoi allievi, scherzando e burlando, ma diventando severo maestro nelle esigenze di correzione degli errori di fraseggio. Posso riferire un aneddoto divertente: un giorno Pavarotti durante una lezione mi chiese di cantare Amarilli (un famoso madrigale barocco di Caccini). Io per errore al posto di Amarilli dissi Amarelli, al che il Maestro cominciò a scherzare: “Amarilli, Amarelli, caramelle, liquerizie…” e scoppiò in una risata coinvolgente. Conosceva perfettamente la liquirizia di Amarelli e non perse l’occasione di burlarsi di me conoscendo le mie origini calabresi.

Oggi mi accompagna la sua ombra paterna e affettuosa e, durante le prove o lo studio, mi aspetto – a volte – di sentire un suo affettuoso rimprovero con l’invito a fare meglio. Mi ha insegnato a correggere gli errori che comunque si fanno per non ripeterli più.

Le tue origini sono calabresi quali sono gli insegnamenti che la tua famiglia ti ha trasmesso?

Sono nato a Catanzaro Lido e sin da piccolissimo ho scoperto una vocazione per il canto: la mia voce – a detta di diversi maestri di musica – mostrava caratteristiche inusuali per un bambino. Sono cresciuto a Lido fino a 13 anni, coltivando questa passione grazie all’affetto e alla determinazione dei miei genitori che hanno creduto da subito nelle mie possibilità e hanno assecondato le mie aspirazioni. Il risultato è stato che già da piccolino ho partecipato, con successo, a diversi concorsi musicali. Da quando avevo 17 anni vivo stabilmente a Roma, dove mi sono diplomato Maestro Tenore al Conservatorio di Santa Cecilia. E questa è diventata la mia principale attività, ma non ho mai dimenticato gli insegnamenti che la mia famiglia ha saputo trasmettermi: onestà, lealtà, fiducia nelle proprie aspirazioni, mai cadere in preda a vanità e presunzione, ma coltivare l’ambizione di raggiungere il successo, senza strafare e senza compromessi. Sono ancora agli inizi – se vogliamo – ma queste “linee guida” sono quelle che mi hanno portato dove sono, mi hanno fatto assaporare il successo, la fama, una notorietà crescente, con l’orgoglio del bambino che sognava di diventare un cantante e dell’uomo che oggi – piacevolmente – lo fa per mestiere.

Quali sono secondo te le difficoltà che un giovane artista oggi incontra per potersi affermare?

Il talento, sicuramente, da solo non basta. Oggi più di ieri ci sono tante meteore che crollano subito e di cui nessuno più ricorda alcunché. Il talento va coltivato e affinato con l’ausilio di maestri adeguati. Ci sono i talent che scoprono nuove leve e personaggi emergenti nel campo della musica leggera, ma per i cultori del melodramma, della lirica, del bel canto, il talent non serve. È diventato più difficile potersi affermare facendo lirica o bel canto, anche se curiosamente tra i giovani si sta diffondendo in qualche modo l’abitudine all’ascolto dei classici. Occorrerebbe che ci fossero più opportunità per mostrare il proprio talento. Per fortuna in questo i social aiutano a far conoscere personalità che aspettano solo di essere valutate e apprezzate. Noi giovani, rispetto ai grandi del passato, abbiamo sicuramente più chances (un video su YouTube può diventare virale e trasformare uno sconosciuto in un personaggio di respiro internazionale), ma non dimentichiamoci che il talento se non c’è non si inventa ed è più facile scomparire piuttosto che emergere se non c’è un retroterra culturale adeguato, se non c’è preparazione e tanto studio alle spalle.

A parte la musica lirica Stefano quale altro genere e artista gradisce?

L’estate scorsa ho ‘giocato’ col brano di Mina e Celentano sdoppiando la mia voce e, secondo quanto ho riscontrato, il risultato è stato apprezzatissimo e in tanti hanno faticato a capire che il duetto, nel mio disco “La bella Italia” era in realtà una voce sola, la mia, modulata secondo i due ruoli – uomo/donna – sì da costruire un effetto intrigante e insolito. È piaciuto soprattutto in Nordamerica dove diverse radio hanno rilanciato di continuo il brano Amami-Amami interpretato da me. Detto questo, al di là del melodramma e del bel canto, confesso che amo molto anche la musica leggera dove, secondo me, il timbro tenorile può trasformare in modo significativo alcuni brani, trasformandoli secondo canoni estetici di vecchia scuola. Non si deve guardare al passato per imitarlo, ma per reinventarlo e interpretarlo attraverso i valori correnti. La verità è che un bel brano se è davvero tale ha un suo fascino unico e inimitabile, a prescindere se appartiene al 700, al secolo dei lumi, o al terzo millennio. Le note sono sette e valgono per qualsiasi composizione musicale. Io amo tutta la musica, ascolto di tutto, e, in privato, quando nessuno di ascolta, mi trovo a cantare di tutto…

Quali sono gli obiettivi che vorresti raggiungere?

Il sogno di ogni artista è far conoscere la propria opera, divulgare la sua creatività, diventare un modello. Nel campo della musica il successo arriva quando riesci a parlare al cuore del tuo pubblico: più ti ascolta, più ti segue, più ti ama. Il pubblico è un elisir di lunga vita (non solo in termini di spettacolo) e credo che nessun artista sappia o possa farne a meno. Colpire al cuore, affascinare e infondere ottimismo e allegria (ma a volte anche malinconia e mestizia) in chi ti ascolta è un obiettivo non impossibile, ma sicuramente difficile. La musica sa parlare al cuore della gente, esprime sentimenti, suscita emozioni: riuscire in questo è il traguardo più ambito.

Progetti futuri?

Sto preparando diversi spettacoli dove mescolo bel canto, musica moderna e arie di melodramma. Farò uno spettacolo dedicato a Mino Reitano le cui canzoni mi hanno sempre colpito in modo straordinario per la capacità di stimolare sentimenti ed emozioni a tutti i livelli. E quasi certamente affronterò una grande tournée in Sudamerica e in Australia dove mi piacerebbe portare uno spettacolo sulla Bella Italia del canto, dal melodramma al rock, dal barocco al belcanto, dalla canzonetta al madrigale.

Il tuo sogno nel cassetto qual è?

I sogni son desideri? Sì, ma solo se non si rivelano in anticipo… Non ho un sogno particolare nel cassetto, ma sicuramente spero di condividere con le persone che amo e che mi amano i miei successi, passati, presenti e futuri. Ma questo non è più un sogno…

 

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