SUPERMAN. L’ultimo figlio di Krypton.

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All’inizio doveva essere cattivissimo, e il suo nome diviso da quel trattino che spesso è presente nel nome originario dei super-eroi. “La fila per il pane! Di gente scoraggiata, disillusa; creature sfortunate che nella vita non trovano che amarezza. La fila per il pane!

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L’ultimo rifugio del vagabondo affamato”: così recita l’inizio del racconto, non ancora un fumetto, The Reign of Super-Man, scritto da Jerry Siegel e illustrato da Joe Shuster, due ragazzi americani di origini ebraica. In quel mondoo del futuro ci manca giusto una creatura malvagia dagli eccezionali poteri mentali. La fanzine scolastica che pubblica il racconto si chiama Science Fiction. La data è quella del gennaio 1933.

Superman diventa personaggio dei fumetti dopo pochi mesi: senza il trattino ma con l’articolo davanti (The Superman). È solo un progetto, e rimane inedito: non ha ancora la sua calzamaglia, ma è divenuto un eroe positivo. Nell’ingenua copertina lo vediamo gettarsi contro un malvivente che punta la pistola verso un poveretto legato e imbavagliato.

Ma è in una notte del 1934 che Superman diventa nella mente di Jerry Siegel l’eroe che segno un’epoca. Un superuomo. Un essere eccezionale venuto dallo spazio. Nato su un pianeta condannato alla distruzione e spedito sulla Terra ancora bambino dal padre scienziato.

Un dio sceso dal cielo a salvare gli uomini. Per fare ordine e giustizia. Per farci stare tranquilli. Per preservarci dalla malavita. Per difendere le nostre proprietà. Per farci sentire definitivamente civili.

“Nelle espressioni contemporanee di superomismo – ha scritto Sergio Brancato – sono riposte in lui, quelle pratiche simboliche che la cultura laica e postilluministica ha rimosso ai margini di ogni discorso”.

Superman soddisfa i nostri desideri, i nostri sogni di certezza, di continuità, di giustizia. Se lui ci difende, siamo sicuri. Se lui ci difende, vuol dire che siamo nel giusto. Lui, da extraterrestre infinitamente buono, tutto può.

Nel giugno del 1938, dopo essere stato rifiutato per ben quattro anni, negli Stati Uniti esordisce Superman: esce il celebre primo numero di Action Comics, nella cui copertina un essere dalla forza sovrumana con il costume segnano dalla “S”, solleva un’automobile con la stessa facilità con cui si solleva un foglio di polistirolo. Intorno a lui un’umanità attonita e terrificata. Ancora non sa, che Superman è qui per la nostra salvezza. Senza cercare popolarità. Anzi: lui non vuole apparire. Gli interessa solo la sua missione.

Tanto che, in pubblico, è un semplice giornalista occhialuto, tutt’altro che affascinante. Dunque l’Uomo d’Acciaio è un supereroe che rappresenta anche l’altra faccia di noi stessi, le nostre potenzialità non espresse, il nostro coraggio nascosto nelle pieghe della vita quotidiana. Forse anche noi potremmo rischiare la nostra vita per salvare qualcun altro. Forse anche noi potremmo essere eroi se ce ne venisse offerta la possibilità.

È una grande consolazione poter immaginare Superman fuori e dentro di noi: fuori, ci salva come un protettore, un padre, che ci rassicura e ci soccorre; dentro, come l’estensore dei nostri ingenui desideri di potenza. Quando, negli anni Quaranta, gli editori di Superman notarono un preoccupante calo nelle vendite, si accorsero che nei loro fumetti aveva sempre meno peso il suo alter ego Clark Kent, e cioè la porta attraverso la quale un lettore può entrare nel personaggio. A Clark venne offerto di nuovo il suo giusto ruolo, e le vendite ripresero a crescere.

Negli articoli precedenti abbiamo detto tanto bene dei supereroi di Stan Lee e dei suoi artisti, che hanno riportato questi personaggi sulla terra, e li hanno resi intensi offrendo loro moderni problemi psicologici, senso della solitudine, coscienza della diversità. Non è contraddittorio affermare che il fascino di Superman sta proprio nella sua astrazione, in quel suo vivere nella dimensione parallela del desiderio e del sogno.

Non è un caso che alcune delle avventure dell’Uomo d’Acciaio siano solamente ipotetiche: cosa accadrebbe se Superman perdesse i suoi poteri, oppure se Clark Kent svelasse la sua doppia identità? Con queste storie “i lettori vengono direttamente chiamati a decostruire e ricostruire il quadro proiettivo su cui sono fondate le premesse della sua saga”, come ha scritto Gino Frezza.

Ne è un esempio L’uomo che aveva tutto, una storia illuminante, scritta da Alan Moore e disegnata da Dave Gibbons (due dei più grandi sceneggiatori e disegnatori del fumetto contemporaneo di genere). Moore inventa uno stratagemma per permetterci di scoprire i desideri più profondi di alcuni personaggi coinvolti nella storia.

Capiamo così che Superman vorrebbe essere di nuovo a Krypton, poter vivere i problemi, anche gravi, della sua gente, della sua terra. Poter litigare con suo padre, accusarlo di aver sperato che Krypton fosse distrutta. Non sono futili fantasie, che cercano una mediazione con la problematicità della vita.

Questa sembra piuttosto una rivisitazione dello Stalker di Tarkovskij, un viaggio nella zona in cui gli uomini scoprono quanto i propri sogni più intimi siano diversi da quelli immaginati da svegli. Moore ci rivela finalmente che il desiderio supremo di Superman non è quello di proteggerci, che Lui non ha solo desideri che conosciamo. E che le sue vite, evidentemente, sono ben più di due.

Christian Imbriani
La scheda

Illustrazione Christian Imbriani

 

 

 

 

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